Io fui di’ monti là intra Urbino e il giogo di che Tevere disserra

Quando si parla del rapporto di Dante con le Marche si parla soprattutto del Montefeltro. Le ipotesi sono diverse: Dominici ipotizza che abbia avuto contatti con i due potenti capi ghibellini, Uguccione della Fagiola e Federico da Montefeltro in occasione della discesa di Arrigo VII, che lo avrebbero anche ospitato;  Chiaretti pensa che il Boccaccio abbia identificato in una delle sue novelle l’esule fiorentino Tebaldo degli Elisei con Dante stesso, che da Firenze si sposta verso Ancona;  e sempre Chiaretti pensa che Onferno (prima Inferno), una località nel comune di Gemmato sul fiume Conca, prenda il nome dal fatto che Dante vi avrebbe trovato ispirazione per la sua Cantica Prima.

Tra i luoghi sicuramene citati c’è San Leo (“il sasso rotto”),ora non più nelle Marche, ma una volta culla del Montefeltro: da Mons Feretrius l’antico San Leo,  derivano i Montefeltro e prima ancora dai conti di Carpegna;  e cita poi Urbino, Camaldoli (“l’ermo che sovra nasce in Appennino il fiume Archiano”, nell’alto Casentino), gli Appennini. I luoghi sono nominati in modo preciso, specifico: non solo un’area, un territorio, ma, come in tutta la Commedia, non sono  un paesaggio.

Soprattutto il Montefeltro si presenta attraverso i personaggi che Dante incontra in diversi Canti e che dimostrano tutti un legame intimo di proiezione dei suoi ideali. 

Guido da Montefeltro si trova nell’ottava  bolgia dell’ottavo cerchio dell’inferno nel Canto XXVII.  Non parla tanto del fatto che lo ha relegato lì e relativo al consiglio fraudolento che Bonifacio VIII gli estorse in vita, ma  piuttosto sviluppa fatti rilevanti  della storia del Montefeltro, presentando questa area per la sua posizione strategica tra Toscana e Romagna. È Guido a rivolgersi a Virgilio e lo prega di dirgli qual è la condizione politica della sua terra, la Romagna. Virgilio invita Dante a rispondere e il poeta spiega che le varie città romagnole sono dominate da altrettanti tiranni e nessuna di queste è attualmente in guerra. Poi Dante prega il dannato di presentarsi e Guido, credendo di parlare a un altro dannato, svela la sua identità raccontando la sua storia: in vita fu abilissimo condottiero e astuto politico, poi si pentì della sua condotta e si fece francescano. Bonifacio VIII, in lotta coi Colonna, gli chiese un consiglio su come espugnare la rocca di Palestrina, promettendogli l'assoluzione in anticipo. Pur titubante, Guido gli aveva consigliato di promettere il perdono ai nemici e di non mantenere la promessa, suggerimento che permise al papa di radere al suolo Palestrina. Dopo la sua morte la sua anima era stata contesa da san Francesco e un diavolo, e quest'ultimo aveva avuto la meglio sostenendo la sua colpevolezza con sottili argomenti teologici. 

Dante sottolinea la forza di questo personaggio  nell’impegno militare ma condanna la falsità dell’atto di pentimento e quindi la non sincera vicinanza all’unica legge davvero valida per Dante, che è quella di Dio. 

Destino contrario a quello di Bonconte da Montefeltro

Figlio di Guido, da Dante incluso tra i consiglieri fraudolenti delle Malebolge (Inf., XXVII),  nel 1287 prese parte alla cacciata dei Guelfi da Arezzo. Combatté sempre con gli Aretini contro Firenze a Campaldino (1289) e qui cadde sul campo anche se il suo cadavere non venne mai ritrovato. Questo fatto, unito alle molte malefatte da Bonconte compiute in vita, alimentarono la convinzione popolare che fosse finito all'Inferno.

Dante lo include tra tra i morti per forza e peccatori fino all'ultima ora, che attendono nel secondo balzo dell'Antipurgatorio (Purg., V, 85-129): il penitente si presenta e lamenta il fatto che la vedova Giovanna e gli altri suoi parenti non si curano di pregare per lui, cosa che gli provoca vergogna. Dante, stupito, gli chiede cosa abbia provocato la scomparsa del suo corpo a Campaldino e Bonconte spiega che in quello scontro giunse, con la gola squarciata, nel punto dove l'Archiano sfocia nell'Arno. Qui si pentì dei propri peccati e pronunciò il nome della Vergine, quindi la sua anima fu contesa da un angelo e da un diavolo, in modo simile a quanto era avvenuto per il padre ma con esito opposto, in quanto il diavolo aveva dovuto cedere e, per vendetta, aveva scatenato una terribile tempesta che aveva ingrossato il corso dei fiumi, per cui le acque dell'Archiano avevano trascinato il corpo di Bonconte nell'Arno e l'avevano disperso.

La sua salvezza deriva dal pentimento, dalla scelta giusta dei valori dell’anima sopra quelli della gerarchia politica. E’ dunque un altro personaggio di alto valore morale identificato con il Montefeltro. 

Non si può infine dimenticare il primo personaggio montefeltresco presentato da Dante, Federico II di Svevia, jesino, a cui riconosce la capacità di aver trasformato l’amministrazione feudale delle Marche portando uno sviluppo culturale del territorio che incarna gli ideali più intimi del poeta.

Le marche si definiscono nella Commedia attraverso una serie di nomi.

Le Marche dunque non sono solo rifugio e un territorio accogliente per Dante, ma una fucina di personalità dall’animo alto, incarnazione dei valori morali a cui lui dedica la vita e l’arte.

Per noi che cerchiamo paesaggi, ai nomi dei personaggi aggiungiamo quelli dei loro luoghi e quelli tra i tanti, da Macerata Feltria, a Urbino, Fossombrone, Fermignano, che si incontrano lungo la discesa verso le colline.

LAPIDE NELLA PIAZZA ALIGHIERI DI SAN LEO

A DANTE ALIGHIERI
CHE IN ANGOSCIOSO E DIVINANTE ESILIO
VIDE QUESTA ANTICHISSIMA CITTÀ
SU FIERO MASSO MERAVIGLIOSO
E LA ETERNÒ CON L'IMMORTALE POEMA
NEL SESTO CENTENARIO DI SUA MORTE
IL POPOLO LEONTINO
SECONDANDO IL PALPITO DI TUTTA ITALIA
UN MEMORE MARMO
CONCORDEMENTE CONSACRA.

23 OTTOBRE 1921


PURGATORIO CANTO IV 

Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,
montasi su in Bismantova e ’n Cacume
con esso i piè; ma qui convien ch’om voli;27

dico con l’ale snelle e con le piume
del gran disio, di retro a quel condotto
che speranza mi dava e facea lume.30

Noi salavam per entro ’l sasso rotto,
e d’ogne lato ne stringea lo stremo,
e piedi e man volea il suol di sotto.33

Poi che noi fummo in su l’orlo suppremo
de l’alta ripa, a la scoperta piaggia,
"Maestro mio", diss’io, "che via faremo?".


PURGATORIO CANTO V

Poi disse un altro: "Deh, se quel disio
si compia che ti tragge a l’alto monte,
con buona pïetate aiuta il mio!87

Io fui di Montefeltro, io son Bonconte;
Giovanna o altri non ha di me cura;
per ch’io vo tra costor con bassa fronte".90

E io a lui: "Qual forza o qual ventura
ti travïò sì fuor di Campaldino,
che non si seppe mai tua sepultura?".93

"Oh!", rispuos’elli, "a piè del Casentino
traversa un’acqua c’ ha nome l’Archiano,
che sovra l’Ermo nasce in Apennino.96

Là ’ve ’l vocabol suo diventa vano,
arriva’ io forato ne la gola,
fuggendo a piede e sanguinando il piano.99

Quivi perdei la vista e la parola;
nel nome di Maria fini’, e quivi
caddi, e rimase la mia carne sola.102

Io dirò vero, e tu ’l ridì tra ’ vivi:
l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno
gridava: "O tu del ciel, perché mi privi?105

Tu te ne porti di costui l’etterno
per una lagrimetta che ’l mi toglie;
ma io farò de l’altro altro governo!".108

Ben sai come ne l’aere si raccoglie
quell’umido vapor che in acqua riede,
tosto che sale dove ’l freddo il coglie.111

Giunse quel mal voler che pur mal chiede
con lo ’ntelletto, e mosse il fummo e ’l vento
per la virtù che sua natura diede.114

Indi la valle, come ’l dì fu spento,
da Pratomagno al gran giogo coperse
di nebbia; e ’l ciel di sopra fece intento,117

sì che ’l pregno aere in acqua si converse;
la pioggia cadde, e a’ fossati venne
di lei ciò che la terra non sofferse;120

e come ai rivi grandi si convenne,
ver’ lo fiume real tanto veloce
si ruinò, che nulla la ritenne.123

Lo corpo mio gelato in su la foce
trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse
ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce126

ch’i’ fe’ di me quando ’l dolor mi vinse;
voltòmmi per le ripe e per lo fondo,
poi di sua preda mi coperse e cinse". 129